Il cibo è un’emozione
Il cibo ha una funzione biologica essenziale per l’organismo poiché dagli alimenti ricaviamo tutto ciò che occorre per tenerci in vita: carboidrati, proteine, grassi, vitamine e minerali rappresentano non solo una fonte di energia, ma anche il materiale per la crescita e la riparazione dei nostri tessuti.
Nutrirsi è una delle azioni più primitive dell’uomo; si pensi al bambino appena nato il cui primo istinto è quello di attaccarsi al seno della madre: il latte materno, con il suo sapore dolce, rappresenta il primo contatto che si instaura con il cibo e le modalità e i tempi con cui viene somministrato ne influenzeranno, in parte, il rapporto con l’alimentazione.
È convinzione comune associare il pianto del neonato con il suo bisogno di essere nutrito ed è per questo che il gesto di avvicinarlo al seno diventa spesso una risposta automatica, ogni volta che il piccolo tenterà di comunicare qualcosa. Mettere in atto questo gesto in modo meccanico, pensando di procurare sollievo al bambino, porta spesso ad evitare di ascoltare ciò di cui il bambino può avere realmente bisogno in quel momento; ne consegue inoltre, un meccanismo pericoloso ed insidioso: se da bambini, nei momenti in cui si è cercato di esprimere un disagio emotivo, si è stati abituati ad una gratificazione esterna come forma di rassicurazione, da adulti si strutturerà un comportamento alimentare ed emotivo che tenderà a seguire le stesse modalità.
Il rapporto tra il cibo e le emozioni si instaura quindi nelle primissime fasi della vita e rimane per tutta l’esistenza, influenzandola in modo significativo: il cibo viene utilizzato spesso per sedare emozioni che si ha il timore di non riuscire a gestire o che si ritengono, impropriamente, non conformi o dissonanti con la propria natura.
Non sempre quindi si è in grado di esprimere compiutamente tutte le proprie emozioni: non è un caso, infatti, che la bocca venga utilizzata sia per la comunicazione verbale sia per il nutrimento del corpo fisico e che il ricorso compulsivo ad alimenti contenenti zucchero possa talvolta rappresentare una modalità iterativa per cercare di “addolcire” gli aspetti di noi che non amiamo o che non riusciamo ad accettare come parte integrante di noi. Paura, rabbia, senso di inadeguatezza, sofferenza psicologica e fisica, frustrazione sono solo alcune delle emozioni spesso classificate in modo negativo dalla società: la necessità di gestire, accettare e “metabolizzare” queste presunte “debolezze”, che sono invece parte integrante della natura umana, può generare un bisogno di compensazione esterno che provi a lenire il contrasto interiore.
Lo stomaco, che è l’organo attraverso il quale continua il processo di digestione degli alimenti ingeriti, può essere anche considerato un filtro emozionale del corpo: gli stimoli inviati possono essere di due tipi ed è facile che il senso di fame e la tensione emotiva possano essere confusi proprio perché non si è abituati ad ascoltare i propri sentimenti conflittuali, reagendo in modo meccanico. In presenza di “fame emotiva” il cibo viene impiegato come un “farmaco” con cui placare emozioni sgradevoli, ottenere una gratificazione negata in ambito affettivo o lavorativo, combattere una delusione o un dolore, colmare un vuoto emotivo.
Mangiare è una delle soluzioni più facili per procurarsi emozioni positive: è facilmente accessibile e sempre disponibile ma è chiaro che questo distorto rapporto con il cibo, non solo può generare problemi fisici gravi dovuti all’aumento del peso corporeo, ma può anche determinare un senso di colpa che impedisce di risolvere il problema reale legato alla tensione emozionale esistente, causando un circolo vizioso distruttivo in cui l’alimentazione diviene uno strumento di controllo emotivo.
In un certo senso, proseguendo nel parallelo tra fisico e psicologico, si tratta di imparare a “digerire” correttamente le emozioni insieme al cibo senza gestirli impropriamente: superando gli aspetti percepiti come negativi e causa di rifiuto, si avrà la possibilità di riappropriarsi della propria salute fisica e mentale, accogliendo e soddisfacendo al meglio i bisogni reali. Una consapevolezza che, parte dall’alimentazione, per poi divenire attitudine a prendersi cura di sé, in un percorso in cui si deve comprendere che il desiderio di un cibo specifico non sempre è sinonimo di una carenza nutritiva e/o di un bisogno reale dell’organismo.
Il costante desiderio di certi alimenti con determinati sapori porta a ritenere che si configuri un deficit energetico dell’organo associato ed il conseguente tentativo di negare l’emozione connessa: ad esempio, se il desiderio impellente di un dolce rappresenta il sedativo per la parte più infantile che vorrebbe essere rassicurata ed accudita, dall’altro, il continuo ricorso a cibi salati potrebbe essere un sintomo di insicurezza nel vivere secondo la propria natura.
Il modo migliore per invertire la rotta è comprendere questi meccanismi interiori e spostare l’attenzione dal mezzo (il cibo) al fine (i bisogni interiori); riconoscere quindi che il cibo può interferire con le emozioni creando una dipendenza e che reprimere i sentimenti attraverso gli alimenti non solo non risolve il problema, ma lo amplifica.
Un’alimentazione sana deve considerare attentamente l’aspetto emozionale legato al cibo: per questo, alla base della piramide del modello alimentare mediterraneo viene posta la convivialità, intendendo così riconoscere un valore sociale positivo alla condivisione con gli altri del momento del pasto. Condividere un pasto, stringendosi intorno ad un tavolo, è una pratica comune negli appuntamenti di lavoro o negli incontri familiari e confidenziali il cui tema comune è la comunicazione: è molto importante però che ogni elemento svolga la propria funzione precipua e che non vi siano sovrapposizioni o fraintendimenti emotivi.
Per moltissime persone, purtroppo, mangiare è causa di stress, disagio, tensione e costante confusione: anni di falsi miti alimentari, privazioni e informazioni contrastanti hanno creato un pericoloso squilibrio ideologico e motivazionale. Si passa alternativamente da periodi di iperalimentazione, in cui ci si sente sazi ma a disagio ed in colpa, a regimi alimentari molto restrittivi, in cui ci si sente a posto con la coscienza, ma stanchi, affamati, tristi e soprattutto, molto arrabbiati ed insoddisfatti.
Questa incapacità sociale ed individuale di raggiungere uno stile di vita sano, in cui un’alimentazione completa ed equilibrata, in termini di apporto combinato di tutti i macronutrienti, si sposi con l’ineludibile necessità di effettuare un’attività fisica costante e funzionale, rappresenta uno dei più grandi ed irrisolti problemi della società “moderna”.
Ovviamente, il primo obiettivo dovrebbe essere quello di gestire correttamente gli zuccheri, ovvero acquisire dai carboidrati il quantitativo necessario per una corretta alimentazione e rinunciare a quelli presenti in tutti quei prodotti che non hanno alcuna valenza a livello nutritivo, ma sembrano invece creati proprio per soddisfare una carenza emotiva.
È un percorso complesso e non privo di difficoltà, soprattutto se si vuole agire nel lungo termine, senza scorciatoie e senza contribuire a quel fenomeno ciclico del tutto / niente che è particolarmente dannoso per la salute. Gli zuccheri, infatti, sono direttamente connessi al circuito del piacere: stimolano il cervello a produrre la serotonina, conosciuta come “l’ormone della felicità”, che genera un’immediata sensazione di buon umore.
Perciò, è vero che le emozioni influenzano le nostre abitudini alimentari ma è altrettanto vero che gli alimenti hanno un impatto significativo sul nostro stato emotivo: un pasto ricco di grassi, per esempio, può farci sentire assonnati e irascibili. Un approccio sano al cibo non può prescindere dalla cura del proprio equilibrio interiore, che ci renderà capaci di scegliere alimenti salutari. Allo stesso tempo, un’alimentazione sana e consapevole ci aiuterà a riequilibrare il nostro assetto ormonale, rafforzando la sensazione di benessere psico-fisico.
Inoltre, è evidente l’impatto ed il peso del mondo esterno sulla salute di una persona e sulla sua capacità di compiere certe scelte: vivere in una condizione di stress costante, ad esempio, può determinare un innalzamento dei livelli di cortisolo, responsabile di molte iperglicemie.
Per questo è importante, per quanto possibile, rimuovere gli “elementi di disturbo” endogeni ed esogeni: possiamo farlo a piccoli passi, iniziando proprio con il cibo ed evitando di introdurre tossine esogene; assumere ad esempio cibi biologici ed alimenti con un buon grado di vitalità, garantirà certamente un maggior potere nutrizionale rispetto ad un prodotto surgelato o inscatolato; alimentarsi inoltre con cibi di stagione, ci predisporrà sicuramente meglio a vivere secondo il ritmo della natura, favorendo anche un miglior adattamento del corpo alle condizioni climatiche.
Per eliminare le tossine endogene, è fondamentale invece riconoscere cosa ci stia causando problemi: pensieri, emozioni stagnanti o automatismi negativi; bisogna affrontarli e comprenderli, da soli o con l’aiuto di chi è in grado di poterci supportare, per poi capire quale sia l’elemento nutritivo di cui abbiamo effettivamente bisogno.
È importante, infine, alimentarsi in modo consapevole e questo presuppone un impegno costante da parte di chi decide di affidarsi ad un naturopata che fornisca l’approccio complessivo e gli strumenti idonei per prendersi cura di sé in modo più efficiente e stabile nel tempo. D’altra parte, i consigli alimentari devono sempre essere personalizzati e mirati sul singolo individuo con l’obiettivo di focalizzarsi, in primis, sui punti deboli alimentari / psicologici e ridurre il carico emotivo ad essi associato.
Antonella Allegrucci
Psicologa, Naturopata, Health Coach, Consulente Nutrizionale
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